L’emendamento al DL. 50/2017 presentato dall’On.le Francesco Boccia, che nelle intenzioni del proponente avrebbe l’effetto di tassare le attività italiane delle multinazionali (del web, ma non solo), sembra abbandonare i tentativi di ridefinire unilateralmente, con leggi domestiche, il concetto di stabile organizzazione, per introdurre invece un percorso negoziato con l’Amministrazione finanziaria, finalizzato all'emersione delle stabili organizzazioni, esistenti in Italia ma fin qui non dichiarate, evitando guai peggiori di iniziative accertative e giudiziarie neanche tanto velatamente minacciate.
Ma che cosa prevede esattamente l’emendamento?
La norma si rivolge alle società estere appartenenti a gruppi multinazionali, aventi grande dimensione (1 mld di Euro di fatturato) e con un certo ammontare di vendite in Italia (più di 50 milioni) conseguito “avvalendosi del supporto” di altre società o entità italiane appartenenti al medesimo gruppo: per esse, indica la corsia preferenziale di una sorta di innovativo “interpello qualificatorio” postumo (quelli a regime, previsti dall'art. 11 della l. 212/2000 e dall’art. 31-bis Dpr 600/1973, prevedono che la valutazione sia preventiva), in ordine alla sussistenza di una stabile organizzazione in Italia.
E ciò allorquando i soggetti non residenti ravvisino il rischio che l’attività esercitata in Italia costituisca una stabile organizzazione.
Se a seguito della presentazione dell’istanza l’Agenzia ravvisi la sussistenza di una stabile organizzazione, questa invita il contribuente (cioè la società estera) a definire in contraddittorio i debiti tributari della propria branch italiana, per i periodi di imposta pregressi, con riduzione alla metà delle sanzioni applicabili per l’ipotesi di accertamento con adesione (quindi 1/6 dei minimi edittali), ed estinzione della sanzione penale di omessa dichiarazione.
Questi effetti “premiali” invece non si producono se manchi la sottoscrizione dell’accertamento con adesione o non vengano effettuati i relativi versamenti: in tal caso l’Agenzia delle Entrate procederà ad emettere gli avvisi di accertamento, anche in deroga ai termini di decadenza previsti dalla legge.
Che cosa si può dire, a caldo, di una norma del genere?
Anzitutto che la stessa - nonostante le similitudini con gli accordi preventivi e le richieste di interpello su interpretazioni dubbie della legge e relative a comportamenti futuri - contempla in realtà una “autodenuncia” su comportamenti passati, con effetti di trascinamento sugli anni a venire.
La norma si riferisce infatti a chi già effettua cessioni di beni e prestazioni di servizi in Italia, e prevede non già un accordo preventivo bensì una sanatoria di situazioni pregresse, con similitudini procedurali con la voluntary disclosure.
Non serve avere la sfera di cristallo per immaginare quali potrebbero essere gli esiti dell’istanza, che presuppone che la società estera "ravvisi il rischio” di avere fino a quel momento omesso di dichiarare la propria stabile organizzazione italiana. Mi sembra difficile pensare che l’Agenzia, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, non risponderà affermativamente ai dubbi prospettati dal contribuente, riconoscendo che sì, in effetti il rischio era fondato, e che una stabile organizzazione esiste.
A quel punto la strada per il contribuente istante diventerà obbligata.
Non aderire alle proposte di definizione dell’Agenzia sarebbe un suicidio: ci si dovrebbe infatti, in caso contrario, presentare in giudizio avendo previamente inoltrato una istanza in cui si ammetteva di riconoscere l’esistenza di un rischio, ed è altrettanto facile prevedere quale potrà essere l’atteggiamento dei giudici, già frastornati dal mantra che dipinge i “giganti del web” (secondo un’orrenda definizione giornalistica) come degli evasori totali.
Inoltre, la mancata adesione farebbe scattare una sorta di “sanzione impropria” o ritorsione accertativa draconiana e priva di precedenti, ovvero la disapplicazione della norma sul termine di decadenza per la notifica degli accertamenti, con effetti temporali retroattivi illimitati e riapertura di periodi di imposta già ampiamente “chiusi” di assai dubbia conformità alle regole ordinamentali.
Stando alla norma, infatti, l’Agenzia potrebbe notificare un accertamento anche per periodi di imposta molto risalenti nel tempo, senza appunto più alcun limite, con la difficoltà per l’impresa di dimostrare che magari le condizioni di esercizio dell’attività erano in passato diverse, dato che dopo dieci, venti o trent’anni non ci saranno più evidenze documentali dei fatti pregressi.
Sul piano dell’analisi economica del diritto, mi sembra che la norma abbia in realtà l’effetto di disincentivare la presentazione di istanze, posto che il contribuente - come visto sopra - si porrebbe di fatto nella condizione di non poter se non accettare qualsiasi richiesta gli venisse fatta dall’Amministrazione, anche la più abnorme e irragionevole.
E non vedo come i rappresentati di un gruppo multinazionale possano scegliere di legarsi le mani a tal punto nei confronti di imponderabili richieste del fisco italiano. Sarebbe inoltre imbarazzante per i managers, nei confronti del gruppo, ammettere che vi era un rischio di accertamento di una stabile organizzazione (la presentazione dell’istanza lo attesterebbe, appunto), giacché ciò porterebbe a ipotizzare, per gli anni pregressi, dei profili di negligenza, sottovalutazione e mancato presidio del rischio suddetto.
Qualche riflessione ulteriore può essere spesa anche sui presupposti applicativi.
Ora, in verità non si vede perché limitare lo spettro applicativo della norma ai soli gruppi con fatturato superiore a 1 miliardo, e non anche agli altri. L’accesso a un beneficio e una forma di definizione agevolata di pendenze pregresse non dovrebbe infatti dipendere dalle dimensioni del soggetto. Questo aspetto potrebbe in ogni caso anche non assumere grande rilevanza, visto che gli aspetti premiali sono soverchiati da quelli penalizzanti: tra le altre cose, il meccanismo di riduzione automatica delle sanzioni e il loro pagamento quale condizione per la non punibilità penale sembrano precludere al contribuente di invocare l’esimente dell’assenza di colpa o delle “obiettive condizioni di incertezza nell’interpretazione della norma” al fine di escludere in toto le sanzioni. In ogni caso dubito fortemente che gli Uffici la accorderebbero, dato che la presentazione dell’istanza presuppone che il contribuente conoscesse il rischio accertativo, il che certo potrebbe non deporre a suo favore nell’esame del profilo della colpevolezza. Quel che voglio dire è che, rispetto alle ordinarie possibilità di ottenere la disapplicazione delle sanzioni, la particolare procedura sembra contemplarne in ogni caso l’irrogazione (ancorché in misura dimezzata).
Colpisce maggiormente, piuttosto, la seguente circostanza: e cioè il fatto che l’ipotesi tipica di sussistenza di una stabile organizzazione (non dichiarata, occulta) venga ravvisata nel supporto fornito da una società italiana del gruppo, le cui strutture si suppone appunto costituiscano “stabile organizzazione” della società estera.
Si tratta infatti di ipotesi esattamente opposta a quella prevista dai trattati bilaterali che si ispirano al Modello Ocse, il cui art. 5, comma 7, sancisce che il fatto che una società residente di uno Stato controlli una società residente nell’altro Stato “non costituisce di per sè motivo sufficiente” per far considerare tale società una stabile organizzazione dell’altra. Tale clausola, che trova giustificazione sul piano storico nell’esigenza di garantire l’indipendenza e la separatezza ai fini tributari e dei trattati contro le doppie imposizioni di entità giuridiche “dipendenti” o “controllate”, secondo le leggi del diritto commerciale, da altre società, viene completamente sovvertita dall’emendamento Boccia, che ravvisa invece nella presenza di una società residente in Italia un indizio della stabile organizzazione italiana della società non residente appartenente allo stesso gruppo.
Ora, è vero che resta in genere possibile, sulla base di specifiche circostanze addizionali, ravvisare nella società residente in Italia del gruppo una stabile organizzazione “occulta” della società estera (tipicamente quando questa agisca alla stregua di un “agente non indipendente” di quest’ultima, concludendo per suo conto contratti con la clientela), ma si tratta appunto di circostanze da valutarsi caso per caso, non già da elevare a presupposto della fattispecie impositiva, quand’anche di carattere procedimentale, appunto rovesciando la logica del Modello Ocse.
L’emendamento Boccia trasforma infatti la presenza di una società italiana controllata dalla società estera da elemento che di per sè non consente di ritenere sussistente una stabile organizzazione in un fatto rivelatore della stessa.
Peraltro, anche se l’emendamento che stiamo commentando evita di primo acchito l’errore (in cui invece cadeva la proposta di legge Quintarelli) di ridefinire con norma sostanziale interna la “stabile organizzazione”- tra le altre cose, si tratterebbe di una definizione semplicemente inutile, in quanto recessiva rispetto alle norme pattizie - di fatto ci va molto vicino: sia pure nell’ambito di una disposizione che disciplina un inedito interpello-autodenuncia, con effetti sulle annualità pregresse, il legislatore finirebbe per tipizzare un’ipotesi diciamo così “presuntiva” di stabile organizzazione, individuandola nel supporto fornito da entità residenti del gruppo alla società estera del gruppo.
Con l’ulteriore rischio che lo Stato estero di residenza della casa-madre non riconosca (come credito per imposte pagate all’estero) le imposte eventualmente pagate in Italia dalla stabile organizzazione “coartata”, ritenendo che il nostro Paese abbia in realtà tassato una stabile organizzazione inesistente.
E questa eventualità è una ulteriore ragione che potrebbe spingere i potenziali destinatari della norma in esame a non avvalersene (il che induce a considerare come ottimistica la previsione di gettito di 1 miliardo di euro che l'emendamento, secondo il suo proponente, sarebbe in grado di garantire).
Invece, la norma potrebbe riuscire benissimo nell’intento di modificare le strategie commerciali e gli schemi di pianificazione dei gruppi multinazionali operanti in Italia, inducendoli, laddove possibile, a non avvalersi più di società controllate nel nostro Paese, ma di far svolgere le funzioni ausiliarie e di supporto alla vendita ad entità indipendenti, bypassando così gli intendimenti del creativo legislatore fiscale italiano.
Riflessioni e commenti su tassazione, politiche fiscali ed economia pubblica. A volte anche su altri temi di attualità
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