mercoledì 1 marzo 2017

Bonus 80 euro, un caso di in-giustizia sociale

La diffusione dei dati sulle dichiarazioni dei redditi 2016 (anno d’imposta 2015) ha ravvivato un po’ a sorpresa le polemiche sul bonus 80 euro, soprattutto a causa della restituzione integrale o parziale del bonus che ha interessato una platea di circa 1,7 milioni di contribuenti.
Si tratta tuttavia di effetti che erano insiti nella “struttura” dello sgravio fiscale, e che costituiscono la cartina di tornasole dei suoi difetti: principalmente il carattere selettivo, e l’inidoneità del bonus ad alleviare gli incapienti, privi di un’imposta lorda a debito da cui scomputarlo. Era dunque ovvio che i soggetti che avevano fruito temporaneamente del bonus erogato dal datore di lavoro potessero poi trovarsi a consuntivo in possesso di redditi superiori alla soglia oltre la quale il bonus non è concesso (26 mila euro), o peggio in una situazione di incapienza, magari per aver perso il lavoro. E il conseguente obbligo di restituzione che proprio tali soggetti devono fronteggiare non fa che aumentare il senso di ingiustizia della misura.
Tutte cose risapute, come detto. 
La vera novità “politica” sta tuttavia nelle dichiarazioni odierne di Matteo Renzi, che ha paradossalmente rivendicato l’operazione “bonus 80 euro” come una misura di redistribuzione salariale, di giustizia sociale. A lungo il precedente governo aveva difeso la misura come taglio di imposte e non come nuova spesa pubblica, anche se il peculiare “credito” attribuito ai lavoratori dipendenti poteva in alcuni casi funzionare come vero e proprio sussidio, come avevo spiegato in questo articolo ed è oggi confermato dal MEF. 
Sorprende dunque che ora Renzi rivendichi il carattere di “trasferimento” della misura, avallando una sua lettura in chiave redistributiva, di spesa sociale, così indirettamente portando acqua al mulino dei suoi detrattori. 
Ma se così dev’essere letta, allora si tratta di una redistribuzione mal riuscita, di una operazione di "in-giustizia sociale", visto che del bonus hanno fruito maggiormente soggetti con un lavoro e con un reddito stabile, nonché famiglie plurireddito, rispetto a soggetti inoccupati, o con redditi bassi e intermittenti, e famiglie monoreddito.
Il bonus 80 euro, come detto, è in parte maggioritaria uno sgravio fiscale sulla classe lavoratrice (e in parte minoritaria un sussidio), che denota limiti di equità dovuti alla scelta dello strumento tributario (attraverso il quale non si riesce a risolvere il problema degli incapienti), e che si è scelto di limitare ai soli lavoratori dipendenti. 
Resta il fatto che il bonus, con tutti i suoi difetti, poteva essere sostenuto politicamente con degli argomenti: il richiamo alla “redistribuzione" e ai “trasferimenti” lo rende invece indifendibile, per la sua “cifra” redistributiva avversa.

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