Contrariamente a quanto affermato da molti mezzi di informazione, quella sui sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta non è una tassa o una misura tributaria, semmai una “prestazione imposta in base alla legge” (art. 23 Cost.).
Non è infatti prevista una destinazione dell’introito all’ente pubblico o il suo utilizzo per servizi pubblici: il prezzo dei sacchetti, da riaddebitare obbligatoriamente ai consumatori, va a formare i ricavi del rivenditore e non deve certo essere riversato all’erario. E’ appunto un caso di prestazione patrimoniale imposta non avente natura tributaria: i consumatori rimangono incisi dalla rivalsa del prezzo dei sacchetti, subendo una decurtazione patrimoniale, ma lo scopo non risiede nel finanziamento della spesa pubblica né sta a fronte di un servizio pubblico reso al singolo (come appunto accade nelle “tasse”). Si tratta semmai di una componente del prezzo dei beni acquistati dai consumatori di alimenti, che anziché essere lasciata al funzionamento delle logiche del mercato è oggetto di una norma imperativa.
L’art. 9-bis della L. 123/2017 opera in due direzioni.
Da un lato vieta l’utilizzo dei normali sacchetti di plastica per confezionare gli alimenti, consentendo soltanto l’uso di sacchetti ultraleggeri di plastica biodegradabile per la pesatura di frutta, verdura, pane, etc.
Dall’altro vieta però ai rivenditori di distribuire gratuitamente i sacchetti biodegradabili (gli unici utilizzabili dal 1.1.2018) e impone che gli stessi siano pagati dai consumatori, visto l’obbligo di rivalsa che dovrà risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati.
Curiosamente, non si prevede la rivalsa sui consumatori del “costo” di acquisto dei sacchetti sopportato dal rivenditore, ma la separata indicazione del "prezzo di vendita per singola unità”, il che rende legittima sia l’applicazione un ricarico che - direi - una vendita dei sacchetti sottocosto (che non sarebbe equivalente a una "distribuzione a titolo gratuito”).
Ma qual è la finalità della norma? Pare sia quella di sensibilizzare i consumatori sui “costi sociali” dell’utilizzo di materiali inquinanti (anche i sacchetti biodegradabili contengono plastica e comportano costi di smaltimento), ma logica vorrebbe che la prospettiva del pagamento inducesse i consumatori a usare materiali alternativi per gli imballaggi, ipotesi che appare per ora abbastanza incerta (uso di imballaggi in carta? o che altro?), e comunque non facilmente gestibile da rivenditori e consumatori.
Il pagamento dei sacchetti di plastica da parte dei consumatori avrebbe un senso se servisse a scoraggiare l’uso di materiali inquinanti, per favorire altri materiali più ecosostenibili, ma fino a quel momento appare una misura davvero singolare, utile solo a irritare l’opinione pubblica, che ha la sensazione di pagare un balzello aggiuntivo.
Far pagare le esternalità negative delle produzioni o dei consumi inquinanti, come nelle imposte pigouviane, ha un senso quando l’onere è posto a carico di chi è responsabile dell’inquinamento, ma nel caso dei sacchetti per gli alimenti i consumatori non sono responsabili di alcunché, non avendo alternative plausibili di confezionamento né trattandosi di consumi voluttuari o superflui da cui ci si può astenere. Inoltre, la rivalsa ha il solo effetto di manlevare dal costo i rivenditori di alimenti (integrando i loro ricavi), cioè proprio i soggetti che esercitano l’attività lucrativa che impone oggettivamente l’uso dei sacchetti per la spesa, e che potrebbero ricevere un indebito arricchimento dalla rivalsa, nella misura in cui il costo dei sacchetti fosse già compreso nei prezzi delle merci, che dubito saranno ritoccati al ribasso per tener conto dell’obbligo di rivalsa analitica in vigore dal 1° gennaio.
Questa misura non è invece di per sé in grado - come si è sospettato - di favorire le imprese operanti nel settore dei sacchetti biodegradabili, che semmai sono favorite dall’aver messo fuori legge i sacchetti di plastica tradizionali o altri materiali non consentiti: la produzione di queste imprese sarebbe infatti attivata allo stesso modo anche senza obblighi di rivalsa sui consumatori dei costi dei sacchetti della spesa, cioè anche qualora questi costi restassero a carico dei rivenditori (salvo comunque traslarli a valle inglobandoli forfettariamente nei prezzi al dettaglio delle merci).
La singolarità e le perplessità sugli effetti della misura mi sembrano infine accentuate da un’altra considerazione: perché introdurre una norma dirigistica che interviene in un rapporto interprivatistico, riguardante le decisioni dei supermercati e rivenditori in genere di traslare sul prezzo dei prodotti il costo di un particolare tipo di imballaggi (sacchetti ultraleggeri per il confezionamento di alimenti sfusi da pesare), peraltro poco inquinanti e tendenzialmente privi ad oggi di plausibili alternative, quando invece nel caso dei numerosissimi prodotti già confezionati che utilizzano imballaggi in plastica il costo ad essi relativo non è separatamente evidenziato e dunque il consumatore non ne è consapevole?
Il consumatore ha la sgradevole impressione di punizione. Punito (deve infatti pagare) per assolvere un obbligo. Deve infatti far uso esclusivo di quei sacchetti
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminain fin dei conti dobbiamo arguire di avere un legislatore idiota, in malafede e stonzo (in quanto dotato di un innato senso sadico nei confronti del proprio cittadino / elettore)
RispondiElimina"Al savema zà prema! (dal romagnolo: "Lo sapevamo già prima" !)
EliminaIn poche parole: un provvedimento assurdo con motivazioni odiose.
RispondiEliminaServe anche ad abituarci a questo concetto di "obbligo" per un ipotetico bene comune.
RispondiElimina? Questo articolo mi sorprende.
RispondiEliminaLa domanda ha una banale risposta: a informare del costo e renderlo esplicto. Si chiama esternalita' Dario.
Scusami, sai quanto ti apprezzo, ma questo articolo si fonda su una non comprensione del problema ed alimenta ignoranza e qualunquismo, dei quali siamo gia' abbondantemente forniti. Ciao, Michele Boldrin
Vedo ora il commento di Alberto Lusiani e trovo conferma di quanto detto: una sequenza di baggianate (frequenti con Alberto a cui da anni suggerisco di studiare economia se vuole far finta d'essere economista oppure di continuare a dedicarsi alla fisica) alimentate da una totale incomprensione del problema e da puro furore ideologico.
RispondiEliminaNon e' criticando il PD per ogni cosa che fa, anche quelle corrette come questa, che si costruisce un'alternativa. In questa maniera si alimentano solo grullini, berlusconi e salvini. Quest'ultimo, si sa, piace a Lusiani e questo spiega le sue baggianate ma speravo non fosse gradito al proprietario del blog. Amen.
Michele Boldrin non ha capito i termini della questione.
RispondiEliminaLa raccomandazione UE presunta recepita dice: "adottate misure per ridurre il consumo dei sacchetti di plastica, per esempio addebitatene il costo a chi li usa per rendere il costo evidente e disincentivare sprechi".
La legge italiana va oltre quanto raccomandato, ma su questo e' coerente: vieta l'uso dei sacchetti di plastica ultraleggeri. Quelli leggeri li aveva gia' vietati nel 2011. Sembra che cio' avvenga solo in Francia ed Italia.
A questo punto la raccomandazione UE e' piu' che rispettata. E il settore delle biopastiche italiano riceve i vantaggi ben indicati nell'articolo del Fatto Quotidiano (https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/i-numeri-svelano-i-beneficiari-della-norma/), perche' la legge di fatto prescrive che al posto dei sacchetti di plastica ultraleggeri devono essere usati sacchetti di bioplastica.
Invece il fatto che i sacchetti di bioplastica siano addebitati al cliente, e' una misura che non ha senso, non ha nulla a che fare con la raccomandazione UE. La raccomandazione UE parla dei sacchetti di plastica, da ridurre, non di quelli in bioplastica, semmai da incentivare almeno se sostituiscono quelli di plastica con aggravio di costi.
Non ho ben inteso quali termini della questione io non avrei capito, Alberto.
EliminaSembri, incredibilmente, non notare tre cose in ordine di rilevanza.
1) Da un lato scrivi, citando UE:
A) "adottate misure per ridurre il consumo dei sacchetti di plastica, per esempio addebitatene il costo a chi li usa per rendere il costo evidente e disincentivare sprechi".
-A) "Invece il fatto che i sacchetti di bioplastica siano addebitati al cliente, e' una misura che non ha senso, non ha nulla a che fare con la raccomandazione UE. La raccomandazione UE parla dei sacchetti di plastica, da ridurre, non di quelli in bioplastica, semmai da incentivare almeno se sostituiscono quelli di plastica con aggravio di costi.
Dove cerchi, di ovviare all'ovvia contraddizione argomentando che i sacchetti "bio" non sarebbero di "plastica". Invece sono delle bioplastiche che, pur non derivate interamente dal petrolio lo sono parzialmente (al 60% attualmente, con decrescita attesa sino al 40% vedi http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-01-03/ecco-come-funziona-legge-sacchetti-biodegradabili-210318.shtml?uuid=AEDsBpaD). Inoltre vanno prodotti (energia), trasportati (energia) e comunque disposed of (non svaniscono istantaneamente pur essendo biodegradabili in tempi molto piu' rapidi delle plastiche tradizionali.
La contraddizione, nel tuo argomento, e' cosi' palese che fa sorridere. Che il costo sia esplicitato e', quindi e per tua stessa logica, perfettamente corretto.
2) Ceteris paribus, rendere esplicito il costo/prezzo all'utilizzatore finale (ossia a quello che decide QUANTI sacchetti usare per ogni spesa) non puo' che diminuirne la domanda. Questo implica DIMINUIRE (NON AUMENTARE) i ricavi della terribile Novamont e di tutti i produttori di detti sacchetti. Esattamente l'opposto di quanto teorizzato dai teorici del complotto.
3) La UE, pensavo che nel giro salviniano questo fosse il verbo, e' il male, la fonte di tutti i disastri e di tutte le perversita' nazionali. Ne segue che, obbedirle non e' necessario e far diversamente da quanto suggerisce e' un bene per la patria colonizzata.
Amen. m
Non sono un economista, ma faccio la spesa.
EliminaLei scrive: "rendere esplicito il costo/prezzo all'utilizzatore finale (ossia a quello che decide QUANTI sacchetti usare per ogni spesa) non puo' che diminuirne la domanda"
è tutto qui il problema della norma: io non posso decidere quanti SACCHETTI utilizzare, posso solo decidere quanta e quale frutta/verdura acquistare. Perché il supermercato mi impone di usare un sacchetto diverso per ogni tipo di frutta e verdura (di solito sono identificati con codici diversi persino i peperoni a seconda che siano gialli o rossi!) e la legge mi impone di utilizzare sacchetti nuovi ogni volta. Questo è il punto che non torna: per diminuire l'utilizzo dei sacchetti devo poter usare sacchetti riutilizzabili.
Se devo comunque usare sacchetti nuovi, che li paghi o meno, posso solo decidere di acquistare meno frutta e verdura (con effetti verosimilmente deleteri sulla salute in generale) o di acquistare frutta e verdura già confezionata in altri modi (in genere più inquinanti).
Unknown:apprezzo la sua logica,e condivido.
EliminaMichele continui a non capire.
EliminaLe direttive UE sui sacchetti di plastica leggera non hanno come motivazione la riduzione della CO2 o del consumo di idrocarburi, per cui citare le percentuali di idrocarburi nei sacchetti di bioplastica non e' pertinente. Le direttive UE sui sacchetti di plastica (e gli imballaggi in generale) sono motivate dall'obiettivo di ridurre gli imballaggi, aumentare il riutilizzo e riciclaggio degli imballaggi e ridurre il loro smaltimento finale come rifiuti.
In generale e' buona cosa che ogni bene sia pagato separatamente, tuttavia per ovvi motivi di praticita' era consigliabile non introdurre l'obbligo di addebito per i sacchetti ultraleggeri, e infatti saggiamente la direttiva UE esplicitamente lasciava completa liberta' su di quelli.
La mia sensazione e' che l'Italia chieda per legge l'addebito dei sacchetti ultraleggeri di bioplastica perche' i legislatori non hanno capito la direttiva UE. Concordo peraltro che l'addebito riduce il consumo (di molto poco secondo me) e quindi i riduce guadagni Novamont.
Le norme pero' sono state sicuramente scritte con l'intenzione di favorire la Novamont, come si capisce benissimo da quanto affermato dal sen. Caleo su Radio 24. Con una congerie maldestra di norme, dichiarazioni, circolari l'Italia cerca di obbligare all'uso di sacchetti monouso compostabili per la frutta e verdura, vietando e ostacolando ogni possibile sostituzione con imballaggi riusabili. Imballaggi riusabili che invece sono consigliati dalle direttive UE.
Un'altra cosa che non hai capito Michele e' che non faccio parte del giro salviniano e non simpatizzo per Salvini.
Attenzione, vanno fatti due discorsi distinti: i sacchetti ultraleggeri (ortofrutta) e i sacchetti da trasporto, per intenderci quelli che si danno alle casse. Entrambi i modelli sono biodegradabili e compostabili, l'unica differenza è lo spessore. I supermercati facevano pagare già da tempo i sacchetti per il trasporto (5,10,15 cent o più, a seconda delle dimensioni), i negozi del commercio tradizionale quasi mai. La legge italiana impone ora che si facciano pagare tutt'e due i sacchetti, la direttiva europea obbliga al pagamento soltanto dei secondi (trasporto) e lascia liberi gli Stati di decidere sui primi (ultraleggeri). Quindi le considerazioni del prof. Stevanato sono sacrosante per quanto riguarda gli ultraleggeri, non per gli altri. E ad andare a fare la spesa nei supermercati gli effetti della legge già si vedono: alle casse è cresciuta enormemente il numero di persone che si presenta con la borsa di tela cerata riutilizzabile portata da casa, dunque meno plastica che poi finisce in giro.
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RispondiEliminachiedo da completo ignorante in materia fiscale. Non e' che con la cessione a titolo gratuito lo stato incassa iva 0, nel comprenderlo nel prezzo della frutta e verdura iva al 4% ed invece con la vendita del sacchetto lo statto incassa il 22%?
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